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                                         Gaia Ghezzi

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la disciplina della terra, 2019, olio su tela, 80x100cm.jpeg

La natura diviene interprete delle più profonde sensazioni umane nel Neo Romanticismo di Gaia Ghezzi

Di

 Marta Lock

 

1 Gennaio 2025

 

Ogni qualvolta l’essere umano è stato capace di uscire dal proprio approccio materialista e si è sintonizzato su una frequenza diversa, quella dell’ascolto della natura e di tutti i significati che dentro di essa con semplicità e spontaneità si manifestano, l’espressione artistica si è concentrata sulla contemplazione di un ambiente circostante affine agli stati d’animo avvertiti nell’interiorità, un po’ perché l’osservazione parte dal soggetto e dunque l’oggettività riflette ciò che viene percepito, un po’ perché di fatto l’interazione con ciò che ruota intorno alla vita va inevitabilmente a interagire con l’individuo modificando il suo sguardo sull’esistenza.

 

Dunque che gli artisti appartenenti a questo tipo di approccio percettivo hanno scelto e scelgono di rappresentare quel mondo naturale che diviene mezzo ideale per connettersi con l’io più profondo. La protagonista di oggi rivisita uno stile appartenente al passato introducendovi tutta quella spiritualità, quel legame con il sentire umano che ha bisogno di mescolarsi e di fondersi con la realtà circostante, evadendo dalla contingenza e dalla realtà contemporanea per rimanere connessi con la necessità primordiale di ricongiungersi alla parte più bella e incontaminata della vita.

Molte rivoluzioni stilistiche ed espressive che si manifestarono tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento ebbero di fatto inizio con le intuizioni di alcuni pionieri dei periodi antecedenti, in particolar modo nel periodo considerato moderno che coincise con l’esigenza da parte degli interpreti dell’arte di distaccarsi dal tradizionale ritratto o dai soggetti religiosi commissionati dalla Chiesa; fu infatti già all’inizio del Diciannovesimo secolo che cominciò a verificarsi un nuovo interesse alla natura, al paesaggio e alla correlazione tra individuo e la forza irresistibile degli eventi atmosferici. L’esiguità dell’essere umano davanti alla maestosità del mondo in cui viveva era il punto focale della poetica espressiva di William Turner, maestro del Romanticismo inglese, che concretizzò forse più di tutti questo tipo di approccio in cui l’oggettività andava a sollecitare la riflessione esistenziale del soggetto e forniva spunti di riflessione e di introspezione lontani dal conformismo dell’epoca che voleva ancora l’arte come pura riproduzione dell’osservato. Ma anche Caspar David Friederich, esponente del Romanticismo tedesco, sottolineò quanto la natura fosse una culla all’interno della quale l’essere umano poteva immergersi per sentirsi protetto nelle atmosfere intimiste spesso avvolte dalla nebbia, sottolineando quanto di fatto l’animo potesse liberarsi all’interno di quei panorami struggenti e malinconici. Non solo, anche la Russia ebbe in Ivan Konstantinovič Ajvazovskij uno dei più grandi interpreti del sublime attribuito da sempre a Turner ma di fatto estendibile anche ad altri immensi autori; in lui le atmosfere tempestose dei mari assumevano tonalità più delicate, luminose, quasi a voler sottolineare che la natura non perde mai la sua spontaneità, inconsapevole delle dinamiche umane, e anche quando è minacciosa o distruttiva in lei non c’è mai il desiderio di nuocere semmai è l’uomo che nella sua convinzione di onnipotenza la sfida rischiando di esserne sopraffatto. E ancora negli Stati Uniti la Hudson River School attraverso la capacità narrativa del paesaggio diede una risposta più esplorativa mettendo in evidenza le bellezze incontaminate del nuovo continente; il movimento ebbe tra i maggiori esponenti il grande Thomas Cole e il suo pupillo Frederich Edwin Church. Le intuizioni sulla luce e sulla realizzazione del paesaggio dell’Arte Romantica furono la base della ricerca artistica dei teorici e maestri dell’Impressionismo ma anche dell’esplorazione dell’interazione tra sottili energie naturali e connessione con l’essere umano che furono il fulcro del Simbolismo, entrambi movimenti di fine Ottocento.

L’artista lombarda Gaia Ghezzi genera una nuova interpretazione del Romanticismo andando a fondere la resa del sublime appartenente a William Turner e a Ivan Konstantinovič Ajvazovskij a un significante più profondo, più legato all’interazione tra sensazioni soggettive e connessione con quei paesaggi che sono protagonisti assoluti delle sue tele; l’uomo è quasi completamente assente dai dipinti perché è già soggetto principale dell’osservazione dunque la sua presenza è intuita mentre lo sguardo è lasciato vagare all’interno delle atmosfere rarefatte, di quei paesaggi indefiniti di cui il confine tra terra e cielo, tra acqua e aria è spesso mescolato sulla linea dell’orizzonte, quasi a voler sottolineare quanto a volte la realtà visibile sia solo una convenzione, un mezzo per condurre l’individuo a riflettere su se stesso.

L’invito alla riflessione si esplica attraverso i titoli che sembrano essere un completamento, un’evidenziazione di quanto ogni paesaggio sia stato un’estensione di quanto percepito da Gaia Ghezzi nel momento in cui si è trovata di fronte a ciò che poi ha avvertito l’urgenza di raccontare sulla tela, ma anche una rivelazione di un suo stato d’animo nell’istante vissuto e probabilmente generato da circostanze ed eventi che lo hanno preceduto. D’altro canto però l’artista lascia il fruitore libero di avvicinarsi e di immergersi nelle atmosfere da lei narrate, lo invita a perdersi in quella costante mancanza di riferimenti per lasciarsi semplicemente andare alle energie sottili e impalpabili che da quei mondi indefiniti giungono a far vibrare le corde emotive che così suonano in armonia con quella natura immensa eppure accogliente.

La tela La disciplina della terra sembra costituire la concretizzazione perfetta del concetto poc’anzi espresso perché malgrado l’aspetto tempestoso del cielo tutto sembra appartenere a un ordine necessario, persino gli alberi si piegano stoici davanti al vento mostrando dunque la loro resilienza, quella capacità innata a non lasciarsi sopraffare dagli eventi; dal punto di vista filosofico questo dipinto è un invito da parte di Gaia Ghezzi ad apprendere la capacità di accettare ciò che accade come qualcosa di inevitabile da cui però non si può che scoprire la propria forza, la possibilità di restare in piedi anche laddove tutto sembrerebbe spingere a cadere.

La terra scura è in contrasto con il chiarore del cielo che predomina il dipinto, eppure è lì, esiste malgrado l’immensità di ciò che è sopra di lei e continuerà ad attingere proprio dai cambiamenti la linfa per mantenersi viva. In Meccaniche divine invece la gamma cromatica è più solare, più positiva, il verde chiaro del terreno predomina e diviene protagonista assoluto così come la luce che avvolge quell’unico albero posto al centro di una radura illuminata in maniera innaturale poiché le nuvole scure e cariche di pioggia non lasciano filtrare dal cielo i raggi del sole in maniera così abbondante da giustificare quell’irradiamento; ecco il perché del titolo dunque, vuole mettere in luce quell’inspiegabile che si verifica e che appartiene a una dimensione superiore, spirituale, quasi a suggerire ancora una volta all’osservatore di non lasciarsi ingannare dalle circostanze perché il positivo può nascere anche in momenti inaspettati. L’albero al centro, solo e coriaceo rappresenta così l’essere umano, l’individuo che può, se vuole, trovare il sole dentro se stesso e solo così potrà mantenere la propria luminosità sempre accesa a dispetto di ciò che gli accade intorno.

Fear crea, al contrario, un inganno visivo poiché le tonalità scelte da Gaia Ghezzi sono tenui, delicate, non sembrano indurre ad avere paura, non sembrano sollecitare un atteggiamento di difesa, eppure il titolo suggerisce esattamente quel tipo di reazione. Molto spesso l’uomo teme tutto ciò che non conosce solo perché lo costringerebbe a uscire dalla propria zona sicura che al contempo gli impedisce di scoprire qualcosa di meraviglioso che potrebbe trovarsi oltre l’orizzone; per paura di cadere e tendere verso quell’incognita rappresentata dall’artista con un’evidente delicatezza cromatica, si rinuncia a fare quel tentativo di volo che condurrebbe verso un nuovo mondo, un’inedita opzione che potrebbe rivelarsi splendida, esattamente come il punto di fuga del dipinto suggerisce con la sua luminosità.

La tela Arrivederci narra di un momento di commiato dalla bellezza incontaminata davanti a sé, quasi come se Gaia Ghezzi volesse rendere omaggio a un luogo ideale dentro cui si è rifugiata per trovare un contatto profondo con la sua anima e dal quale poi si è dovuta allontanare per riprendere il ritmo della quotidianità, con le cose da fare e la vita da vivere; eppure quel saluto provvisorio è una promessa di ritorno, un appuntamento irrinunciabile con il proprio vero sé che, una volta rivelatosi, non può più essere ignorato. Il colore del cielo è quello dell’alba, quando cioè la fase del sogno lascia spazio a un risveglio che ha il sapore della dolcezza, dell’avvolgenza costituita dalle sfumature arancio del sole che sembrano carezzare la terra per rassicurarla con il suo tocco caldo.

Gaia Ghezzi ha al suo attivo la partecipazione a mostre collettive in Italia e all’estero, tra le più importanti la Art Nordic Exhibitions a Copenaghen, e la Giorgio Vasari International Award presso Palazzo del Vaticano a Roma, e una mostra personale a Milano; le sue opere sono state inserite in diverse edizioni del Catalogo dell’Arte Moderna Giorgio Mondadori e fa parte dell’Associazione Artangolo Fucina delle Arti con cui espone regolarmente.

 

GAIA GHEZZI-CONTATTI

Email: gaia.ghezzi@gmail.com

 

https://www.lopinionista.it/la-natura-diviene-interprete-delle-piu-profonde-sensazioni-umane-nel-neo-romanticismo-di-gaia-ghezzi-200916.html?fbclid=IwY2xjawJcYfVleHRuA2FlbQIxMQABHdnphp3p6b8EEbyb5MQKCyV-ZAtIR-qUR6FjU59MXSYkS6sr0sqZaCSEnw_aem_Wyy08qThHQ7D0Z7wVpjY5w

 

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